di Francesco Mastromatteo
Originario dell'attuale Turchia, San Nicola è il santo più venerato al mondo, e rappresenta Babbo Natale per i bambini dei Paesi nordici, dove conserva ancora le fattezze del vescovo Claus, non ancora travisate dalla pubblicità di una nota bevanda. Il suo culto costituisce il ponte di collegamento tra Oriente ed Occidente, in quanto il Vescovo di Myra è una figura di estrema importanza nella storia culturale ed artistica non soltanto di Bari, ma anche di tutto il Mediterraneo e dell'Europa intera.
Il coprotettore della città di Bari (l’altro è San Sabino) non ha lasciato scritti che lo riguardano in modo diretto; il fascino di San Nicola è però in gran parte alimentato dalle sue origini, anche se in massima parte non supportate da un numero sufficiente di documentate testimonianze concrete. Una fisionomia storica resa ancora più complicata dal fatto che, nella letteratura agiografica, Nicola subì nel VI secolo una involontaria contaminazione con un altro santo omonimo resosi anch'egli illustre, vissuto nella stessa zona dell'Asia Minore, ovvero l'abate del monastero di Sion e vescovo di Pinara.
Tra i dati certi che si hanno, si sa che Nicola tra il III e IV secolo fu vescovo della città di Myra, in Asia Minore, all'epoca dell'imperatore Costantino e che acquisì unanime fama per la sua generosità, giustizia e capacità di intervenire in modo deciso ed equo a favore del suo gregge. Non va poi dimenticato che partecipò al primo grande concilio della storia della Chiesa, tenutosi a Nicea nel 325 d.C., allorquando l'imperatore Costantino convocò sotto la sua presidenza tutti i vescovi dell'ecumene, per affrontare la controversa e aspra questione dell’arianesimo (e secondo la leggenda, Nicola, strenuo difensore della fede, in tale assise prese a schiaffi l’eretico Ario). Il presbitero Nicola fu eletto vescovo nel 314, succedendo a Giovanni, come profetato del decano dei vescovi di Licia. Dapprima limitato pressoché alla Licia, nel VI secolo il culto di Nicola era giunto a Costantinopoli. Nel VII sec. era giunto a Roma, ed anche a Gerusalemme e in Georgia (come sembra indicare il calendario palestino georgiano). Nell'VIII secolo la sua figura divenne familiare a tutti coloro che vivevano il dramma del rapimento di un congiunto a causa delle incursioni arabe. Nel IX secolo raggiunse il suo punto culminante, specie nel mondo marinaresco, in Oriente e nel successivo in Occidente.
Nel lontano marzo 1087 ebbe inizio l'"impresa" che fece grande Bari, trasformandola da piccolo centro mercantile a importante punto di riferimento per la cultura e la fede dell'intero Mediterraneo cristiano. L'impresa dei marinai baresi che portò alla traslazione delle ossa di san Nicola, non solo ha diviso le posizioni di pensiero della città adriatica, ma soprattutto ha dato origine ad un contenzioso politico sulla sede delle reliquie, che a volte ha assunto anche toni aspri, specie nei confronti delle autorità turche, che negli anni hanno di volta in volta rivendicato le reliquie reclamandone la restituzione o, come in tempi recenti, annunciato la scoperta della “vera tomba di San Nicola” senza fornire peraltro prove precise.
Sessantadue uomini - forse qualcuno in più e non tutti marinai - salparono da Bari per raggiungere la costa meridionale dell'attuale Turchia ed approdare a Myra - oggi Demre - nella Licia romana. L'intento dei baresi era quello di sottrarre - attualmente si usa l'etimo "traslare" - le ossa di Nicola, per portarle a Bari. La spedizione assunse la connotazione di una ostinata disputa per almeno due importanti motivi. Da una parte il culto del santo era diffuso, sia nell'impero bizantino che oltre, già dal IX secolo, e questo rappresentava per Bari un'ottima occasione di riscatto nei confronti di numerose altre città portuali europee; dall'altra, rispondeva ad una esigenza tutta votiva, ossia di tutelare le spoglie e la memoria dei grandi padri dell'antichità cristiana, minacciate dall'invasione sempre più cruenta e devastante dei musulmani. La motivazione del «sacro furto» viene fornita da Niceforo, cronista per conto dei marinai della spedizione: i turchi già «avevano invaso saccheggiando crudelmente quella regione», bisognava, pertanto, intervenire per prevenire la distruzione quasi certa di reliquie e ricordi cristiani.
Già venerato come reliquie di un santo, le spoglie di Nicola erano ambite anche da altre comunità cristiane, soprattutto da Veneziani, Genovesi e Beneventani; ma la tempestività barese, con il benevolo ausilio di circostanze fortunate, ebbe la meglio su tutta l' agguerrita concorrenza. In realtà il convoglio delle tre "caracche", partite da Bari alla volta dell'Oriente e dirette ad Antiochia per mercanteggiare grano, colse l'occasione per impadronirsi delle tanto desiderate reliquie, anticipando di alcuni anni i temuti e potenti Veneziani che già avevano in precedenza "guadagnato" alla città lagunare i resti di san Marco evangelista. Infatti, le fonti storiche baresi e veneziane attestano due spedizioni succedutesi nell'arco di dieci anni. In sostanza i Veneziani presero quello che, per la fretta, i Baresi avevano lasciato dieci anni prima nel sepolcro di Myra. Oltre che nella Basilica di Bari, anche in quel di Venezia, nella chiesa di san Nicolò al Lido, sono conservati alcuni resti mortali di Nicola, tra cui frammenti ossei facenti parte della zona toracica, dell'anca e di parte del braccio sinistro.
Sono ben note a tutti i le vicende storiche e leggendarie che legarono i marinai baresi all'individuazione della tomba del santo di Mira e alla relativa traslazione delle reliquie: il corpulento Matteo, calato con delle funi mantenute dai suoi amici nell'ossario di Nicola, schiacciò le povere ossa del santo che giacevano nel fondo dell'urna colma di manna - fenomeno inaspettato per i poveri baresi - e al completo buio, perché il "bottino" si trovava ad alcuni metri al di sotto del pavimento, cercò di recuperare alcune parti dello scheletro di Nicola, poi raccolte dai veneziani in seguito alla I Crociata del 1099, quasi dodici anni dopo. Il viaggio di ritorno dei marinai verso Bari si svolse in maniera abbastanza burrascosa; ma l'occhio benevolo di san Nicola, posatosi su di loro, cominciò a miracolare i baresi, che giunsero sani e salvi in città il 9 maggio, dove li aspettavano festanti i loro concittadini.
L’impresa fece insorgere non pochi problemi alla piccola comunità barese. Gli artefici della traslazione volevano infatti a tutti i costi che fosse costruito ex-novo il luogo dove custodire le sacre reliquie orientali, progetto condiviso dalla maggioranza della popolazione; mentre il vescovo Ursone si opponeva fermamente, tanto che, appena apprese la notizia lasciò Trani, dove spesso si recava, per far tempestivamente rientro a Bari.
A sedare gli animi ci pensò l'abate Elia, figura di elevato profilo morale e culturale dell'epoca, che fece collocare momentaneamente le reliquie del santo di Mira nella chiesa di san Benedetto. Conseguentemente, la città si divise in due partiti; da una parte vi erano i filobizantini (i marinai e quanti volevano la nuova chiesa per Nicola), dall'altra, i filonormanni (il vescovo Ursone ed i suoi seguaci). Lo scontro tra le due fazioni fu talmente cruento che provocò addirittura alcuni morti. E' facile immaginare che ebbe la meglio la corrente filobizantina, da cui scaturì la costruzione della basilica così come oggi l'ammiriamo. Eretta sulle fondamenta della corte del Catapano, è tuttora ancora visibile parte del muro perimetrale dell'antico edificio bizantino, guardando a destra del terzo portale della basilica. I lavori della costruzione della basilica dedicata a Nicola, anche su segnalazione di Ursone, furono affidati all'abate Elia che aveva dimostrato, in quei giorni tormentati, equilibrio e saggezza.
Ci vollero due anni per completarla. Il 1 ottobre 1089 papa Urbano II veniva a Bari per deporre le ossa nel loculo monolitico. Un fortissimo culto, destinato ad espandersi velocemente in maniera spontanea in tutta la cristianità, si sviluppò poi intorno al suo sepolcro, da cui fuoriusciva un liquido portentoso noto ovunque come il santo "myron", la "manna", che ancor oggi si custodisce in preziosi e venerati contenitori in vetro, finemente istoriati con episodi riconducibili all'attività taumaturgica del Santo.
Fin dalle prime testimonianze di pellegrini alla tomba del Santo a Myra si apprende il collegamento anche con il «myron». Infatti, Michele Archimandrita ricorda che "sin dal momento della sepoltura, dal corpo del Santo comincio a sgorgare questa «salutare e vivifica medicina» che liberava da "ogni potenza avversa e maligna". L'espressione di Michele Archimandrita per la manna è «myron», che corrisponde alla mirra dei Vangeli, e che ormai aveva acquisito il senso corrente di olio o unguento odoroso. Dal 1980 la «manna» viene ufficialmente prelevata ogni anno il 9 maggio, festa della Traslazione, dal Rettore della Basilica, alla presenza del Delegato Pontificio, I'Arcivescovo di Bari, delle autorità, del clero e dei fedeli, a conclusione di una solenne celebrazione religiosa. II Vescovo impartisce la benedizione alla commossa assemblea dei fedeli con I'ampolla di cristallo, in cui viene versato il prezioso liquido, artisticamente dipinta e chiamata «vetro di S. Nicola ».
Bari, grazie alla presenza "miracolosa" di san Nicola, ha assunto negli ultimi cinquant'anni, un ruolo centrale nel dibattito ecumenico, ossia della auspicata riunificazione delle due Chiese cristiane che molti papi hanno definito "sorelle": quella cattolica e quella ortodossa, divise dallo scisma del 1054, non ancora completamente riappacificate. La vocazione di Bari e della sua comunità ecclesiale, quindi, diviene sempre più chiara, e finalizzata a far respirare l'intera chiesa con tutti "due i polmoni": quello occidentale e quello orientale.