di Francesco Mastromatteo
Una delle più antiche carte geografiche del Mediterraneo, risalente a ben 2.500 anni fa, non ha come soggetto Roma o la Grecia bensì, quasi sorprendentemente, l’antica Apulia o meglio, una porzione dell'antico Salento. Incisa su un vaso di terracotta e conosciuta con il nome di “mappa di Soleto”, dal nome del centro messapico in cui venne rinvenuta qualche anno fa dall’archeologo francese Thierry van Compernolle, raffigura quello che gli antichi popoli di quelle terre chiamavano Capo Iapigio e attorno al quale sono riportati i nomi di ben tredici centri abitati, alcuni in messapico, altri in greco tra cui Taras (Taranto), Ugento, Leuca, Otranto. E' visibile al museo di Taranto dove è conservata
Infatti prima di diventare romana l’Apulia ospitò almeno tre importanti gruppi etnici le cui origini restano in parte ancora avvolte dal mistero: Dauni, Peucezi e Messapi. Le fonti antiche, Erodoto, Tucidide, Polibio e Plinio il Vecchio su tutti, narrano che gli Iapigi, mescolanza di Illiri e Cretesi e che i Romani avrebbero chiamato Apuli, giunsero sulle coste pugliesi dall’Illiria (partendo molto probabilmente dall’odierna Albania) tra il XIII e l’XI secolo a.C., attraversando lo stretto braccio di mare Adriatico che separa l’Italia dalla penisola balcanica.
Popolo di agricoltori, oltre che ottimi allevatori di cavalli, una volta sbarcati sulle coste dell'odierna Puglia si amalgamarono con le genti locali e lentamente finirono per formare diversi gruppi etnici con delle specificità abbastanza evidenti: i Dauni a nord, dalle parti cioè dell’attuale Foggia, i Peucezi al centro mentre al sud, nel Salento, flussi migratori mai chiaramente dimostrati di origine illirica o egeo-anatolica diedero vita ai Messapi. I tre popoli con il tempo si differenziarono per miti, usi e costumi: i Dauni, ad esempio, sostenevano di provenire dalla misteriosa terra di Diomede, uno degli antichi eroi della Guerra di Troia, i Peucezi addirittura scomodarono la figura di Enea che, esule da Troia sarebbe sbarcato in Peucezia dove avrebbe fondato la città di Altilia (l’odierna Altamura).
In realtà, racconti mitici a parte, la Puglia al tempo era un vero crocevia fra il Mediterraneo Orientale e quello Occidentale, punto d’approdo ideale di popoli appartenenti a diverse civiltà, tant'è che il nome stesso di Messapia farebbe riferimento proprio a quella posizione di “terra fra due mari”, cioè a metà fra lo Ionio e l’Adriatico. I Messapi, che parlavano una lingua indoeuropea, probabilmente di origine illirica, entrarono in contatto con molti popoli del Mediterraneo orientale, Greci su tutti, e fin dall’VIII secolo sfruttarono gli approdi del Salento per vendere i loro prodotti e per approvvigionarsi delle merci provenienti dagli angoli più disparati dell’Europa: dall'argento al rizoma dell’iris dell’Illiria, dall'ambra del Baltico fino al ferro e ai minerali dell’Istria.
Diverso invece fu il caso dei Dauni: per via della loro posizione, distante rispetto alle colonie greche, la Daunia subì gli effetti della cultura greca molto più tardi, orientativamente tra la fine del V e l'inizio del IV secolo e, quindi, questi strinsero proficui rapporti, soprattutto, con le genti dell’alto Adriatico. Inoltre, mentre i Dauni si specializzarono nell'allevamento degli ovini, dai quali ricavavano una pregiatissima lana, i Messapi preferirono l’allevamento del cavallo (e non è un caso, a ben vedere, come anche oggi il cavallo in Salento, sia parte della tradizione agroalimentare locale) e delle api.
Se Dauni e Messapi mostrarono una certa mitezza (quest’ultimi ad esempio erano noti per essere amanti della vita e tenevano molto alla cura del corpo, attenti in particolare alle loro acconciature che pettinavano con inebrianti oli profumati), diverso fu il caso dei Peucezi sui quali si tramanda una certa immagine ben più bellicosa. Non solo infatti i rapporti con la vicina Taranto (dopo la convivenza pacifica dei primi secoli) cambiarono tra la fine del VI e l’inizio del V secolo, tanto che si racconta di come un’alleanza tra Peucezi e i vicini Messapi inflisse ai Tarantini una cocente sconfitta nel 473 a.C., ma addirittura sia Callimaco che Clemente Alessandrino riferiscono di un assedio compiuto ai danni di Roma. In realtà l’evento è tutt'oggi fortemente dibattuto e si ritiene che i Greci confondessero i Peucezi con i Piceni o con i Galli Senoni.
I popoli del tacco d'Italia prosperarono fino al V secolo quando raggiunsero il culmine del loro sviluppo. Risalgono infatti a quel tempo i grandi cambiamenti apportati nei loro insediamenti abitativi: i villaggi iniziarono ad ingrandirsi, le capanne ovali d’argilla e con il tetto di paglia furono sostituite con costruzioni in pietra, tra le quali si segnalava la presenza di palazzi pubblici quali simboli del potere. Poi, dal IV secolo a.C. le città iniziarono a dotarsi anche di imponenti cinte murarie, alte come una casa di due piani e particolarmente spesse che racchiusero, aspetto questo abbastanza strano per l’epoca, anche le necropoli e i campi coltivati.
Le mura, però, non riuscirono a frenare l’avanzata romana. Dalla seconda metà del III secolo a.C. si assistette, infatti, all'abbattimento dei sistemi di fortificazione e le città furono conquistate una ad una: i primi a cadere furono i Dauni e i Peucezi, mentre i Messapi sopravvissero più a lungo, recitando un ruolo di spicco nelle guerre italiche che sconvolsero il sud della Penisola tra il 330 e il 260 a.C. Coinvolti nelle vicende tarantine, prima contro Alessandro il Molosso (re dell’Epiro e zio di Alessandro Magno), poi al fianco di Agatocle di Siracusa e di Pirro, si indebolirono a tal punto da capitolare di fronte alla conquista romana del Salento.