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CASTEL DEL MONTE TRA LA MURGIA E IL MARE. IL MISTERO “POLIFUNZIONALE” DELLA GHIRLANDA DI PIETRA

di Anna Gernone

Inserito nel patrimonio mondiale dei siti dell’UNESCO dal 1996, questo imponente maniero, citato nelle fonti storiche fino al XIV sec. come castello di “Santa Maria del Monte”, oggi appare isolato nel caldo fascino dei colori della macchia mediterranea, appollaiato come una “corona di pietra” su un dolce rilievo della catena delle Alte Murge baresi.

Il più celebrato e perfetto castello di Puglia”, questo unicum dalla evocativa forma ottagonale, da sempre ha sedotto tutti, studiosi e non, innescando una congerie di interpretazioni più o meno fantasiose, anche esoteriche, alla ricerca affannosa di una verità “metastorica” che soddisfi il bisogno umano del trascendente.

E’ espressione dell’architettura classica, che si nutre di apporti romanico-gotici occidentali, orientali ed arabi, ma strettamente legata alla mentalità medievale del suo committente, l’imperatore svevo Federico II, la cui figura ormai è mitizzata come fenomeno mass-mediatico.

Il capolavoro architettonico, commissionato dallo Svevo per veicolare in maniera grandiosa la sua idea del potere, del controllo e difesa del territorio, va ricondotto alla sua verità storica, confutando le dilaganti “invenzioni del Medioevo neotemplare” che lo hanno trasfigurato, privandolo della funzione militare-residenziale.

Le ipotesi si sprecano: simbolo del sapere cosmico, archetipo-mandala, padiglione di caccia, tempio laico iniziatico, osservatorio ed oroscopo astronomico, orologio solare, scrigno del Sacro Graal…

Secondo la limitata, ma attendibile documentazione superstite di età federiciana ed angioina, il castello regio è stato eretto dopo il 1233. In particolare in un mandato del 1240, l’imperatore, ordina al giustiziere di Capitanata Riccardo di Montefuscolo, di realizzare in fretta “l’actractum” (lastrico o il materiale edilizio per le rifiniture) del “castrum Sanctae Mariae de Monte”, di polivalente interpretazione, forse il completamento del rivestimento del terrazzo di una costruzione ex novo, che sorgeva nei pressi di un precedente insediamento (un monastero benedettino), intitolato a Santa Maria del Monte, attestato in epoca normanna (1192), datazione confermata dalla citazione nello “Statutum de reparatione castrorum” (1241 - 1246).

Secondo la logica costruttiva degli Hohenstaufen Castel del Monte si inserisce in una tradizione di rappresentazione del potere legata all’edilizia militare che vede nell’ottagono il simbolo dell’ideologia politica della casata imperiale.

Seppure un ottagono imperfetto, si rifà ad uno schema architettonico geometrico che parte dalla monumentalità classica e attinge dal modulo quadrato cistercense e circolare islamico-crociato per arrivare all’ottagono, forma della corona imperiale, oggi conservata nel Museo di Vienna.

Al contempo è inserito in un “sistema castellare” di comunicazione, commerci e trasformazione del territorio, di cui costituisce una maglia singolare, a metà strada tra la linea costiera e quella delle Murge, come pure testimonia il “Compasso de navigare” (portolano, manuale di navigazione, in volgare napoletano) del 1250, in cui il maniero appare visibile dal mare.

Il suo aspetto imponente, ritmato dall’iterazione del numero otto delle sue torri ottagonali e dei lati del cortile interno, dei due livelli con complessive sedici sale trapezoidali, disposte in un percorso guidato funzionale, si esalta nel candore della pietra calcarea, affinata dal paramento murario di breccia corallina di Apricena.

Quest’ultima incornicia ad est il monumentale portale ad arco ogivale, cuspidato alla maniera classica, le sei monofore strombate a pieno sesto del primo piano e le sale con gli ingressi interni ed esterni.

Dell’originario splendore decorativo-scultoreo restano resti nel rivestimento marmoreo policromo del piano nobile con le sette bifore e una trifora gotiche e con i pilastri tristili che impreziosiscono le stanze, coperte da volte a crociera costolonate dalle originali chiavi di volta vegetali, zoo-antropomorfe.

La presenza dei camini tradisce lo scopo residenziale del fortilizio, dotato di cucine, torri efficienti con lavatoi, latrine e servizi di conduttura idrica. La strombatura delle strette feritoie aveva lo scopo di illuminare il piano di calpestio delle scale a chiocciola.

Tracce esterne di scuderie e della cinta muraria pentagonale, scomparse, confermano, insieme alle testimonianze documentali, la presenza di guarnigioni in una fortezza, nei secoli utilizzata anche come prigione già sotto il dominio di Federico II, restituendoci la dimensione terrena del mistero di una icona architettonica medievale, che ancora oggi intriga il visitatore.

Testo tratto da: Anna Gernone, Bel Medioevo di Puglia. I castelli e le fortificazioni della Terra di Bari, Argonavis Edizioni, Bari 2009, p. 113.

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Medioevo Federico II di Svevia


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